In questo articolo, i vantaggi e gli svantaggi dell’energia nucleare vengono analizzati in termini di protezione ambientale, giustizia sociale e cambiamento climatico. In particolare, il caso sloveno-croato è presentato per rispondere ad una domanda che da anni ci si pone a livello internazionale: il nucleare può essere uno dei protagonisti nella transizione ecologica?
Transizione ecologica ed energia nucleare: il caso sloveno-croato
Uscendo dai confini nazionali, il primo paese in cui metteremo piede sarà la Slovenia, il polmone verde dell’Europa. Attraversando monti e foreste per raggiungere la Croazia, però, si incontra una struttura che stona con il paesaggio circostante: la centrale nucleare di Krško, e con essa tutte le contraddizioni che da decenni si porta dietro questo genere di impianti.
L’utilizzo di centrali nucleari per la produzione di energia, infatti, suscita da sempre pensieri ed opinioni contrastanti, ed è causa di grandi dibattiti a livello internazionale. Durante gli ultimi decenni, sono stati svariati i cambi di rotta e di opinione, che hanno praticamente seguito i gravi incidenti avvenuti in Ucraina e Giappone. Questo è uno dei motivi per il quale gli impianti nucleari hanno vissuto periodi molto diversi, aiutando economie emergenti a livello internazionale a raggiungere determinati risultati e venendo altre volte additati come abomini tecnologici da smantellare il prima possibile.
Tornando al presente, i dati ci dicono che nel 2019 circa il 10% della produzione globale di energia elettrica è derivata dalle centrali nucleari e che quindi, insieme all’idroelettrico, è la principale fonte di produzione di energia a basse emissioni di carbonio.
Dove si trovano le centrali nucleari?
Le centrali nucleari sono presenti in 31 paesi nel mondo, e la Slovenia è uno di questi: nella zona di Krško, dal 1981 è in funzione l’omonima centrale nucleare di Krško. Connessa alla rete nel 1981 ed entrata in operatività due anni dopo, questa centrale è stata costruita come joint venture tra Slovenia e Croazia, all’epoca facenti parte della Jugoslavia. La compagnia operativa della centrale Nuklearna Elektrarna Krško (NEK) è quindi co-posseduta dalla compagnia slovena ‘Gen-Energija’, come parte della compagnia statale Elektro-Slovenija (ELES) e della compagnia statale croata Hrvatska elektroprivreda (HEP).
La centrale nucleare è tuttora la principale fonte a bassa emissione di carbonio per la produzione di energia elettrica per entrambi gli stati, e provvede a più di un quarto dell’elettricità slovena e a circa un quinto di quella croata.
Su quali dati basarsi per valutare se il nucleare sia alleato dell’ambiente?
Per capire la funzionalità dell’utilizzo di centrali nucleari per la salvaguardia del pianeta, si propone una prima comparazione basata su tre delle principali conseguenze legate all’utilizzo di combustibili fossili e del nucleare:
– inquinamento atmosferico: la quantità di particolato e di ozono presente nell’aria che respiriamo quotidianamente; nel 2017 è stato stimato che il 9% delle morti a livello globale (all’incirca 5 milioni di persone) sono dovute a cause legate all’inquinamento dell’aria.
– emissioni di gas serra: i combustibili fossili sono la principale fonte di produzione di gas serra, una delle cause principali del cambiamento climatico; nel 2018 è stato stimato che l’87% delle emissioni di anidride carbonica derivassero dall’utilizzo di combustibili tradizionali. Per avere valori di emissioni di CO2 in atmosfera derivanti dalle fonti rinnovabili viene considerata l’impronta ecologica lungo tutto il ciclo di vita (per esempio considerando l’impronta ecologica dovuta al reperimento delle materie prime o dovute ai procedimenti di costruzione degli impianti).
– incidenti: si considerano tutti gli incidenti che possono avvenire durante il ciclo di produzione dell’energia (estrazione delle risorse, trasporto delle stesse, costruzione e manutenzione degli impianti). Su questo aspetto gli incidenti che vengono subito in mente sono quelli avvenuti nel 1986 a Chernobyl, nell’Ucraina allora facente parte dell’URSS e nel 2011 a Fukushima, in Giappone. Il numero di vittime dovute a questi gravi incidenti (per cause dirette ed indirette quali incremento di tumori o problemi inerenti alle nascite) non è stato univocamente determinato, ma lo studio più pessimistico in relazione al numero di vittime dell’incidente di Chernobyl si attesta intorno a 60’000 persone colpite (per Fukushima, fortunatamente, il numero delle vittime è risultato drasticamente minore).
Bisogna tener conto che, sebbene ad oggi le grandi compagnie produttrici di energia nucleare affermino di aver sviluppato nuove tecnologie e di garantire una maggiore sicurezza degli impianti, è necessario considerare il rischio derivante dal cambiamento climatico. Infatti, fenomeni meteorologici distruttivi (uragani, trombe d’aria, tsunami ecc.) sono in aumento e il rischio di altri incidenti rappresenta un pericolo concreto per le popolazioni e il patrimonio naturale.
Ma quindi, il nucleare da che parte sta?
Alla luce di questi dati, dunque, l’affiancamento di reattori nucleari a fonti di energia rinnovabile risulta in effetti positivi per la transizione energetica in termini di tonnellate di CO2 emesse in atmosfera (sono state risparmiate 55 gigatonnellate di CO2 negli ultimi 50 anni) e tassi di mortalità.
Un secondo filone che suscita dibattito è quello inerente a come raggiungere i livelli di energia rinnovabili in linea con gli accordi di Parigi per il 2050 senza sfruttare il nucleare . Questo richiederà enormi investimenti sul fronte delle tecnologie rinnovabili e sostenibili, e vi è scetticismo sulla possibilità di riuscire nello scopo senza investire ulteriormente sul nucleare smantellando, alla fine del loro ciclo di vita, le centrali ad oggi in funzione.
Citando Faith Birol, executive director della IEA “Alongside renewables, energy efficiency and other innovative technologies, nuclear can make a significant contribution to achieving sustainable energy goals and enhancing energy security”; parafrasando, l’energia nucleare può giocare un ruolo importante nella transizione energetica.
Queste prime analisi sembrerebbero dar ragione a chi ritiene che il nucleare sia una soluzione valida per raggiungere la transizione ecologica. Nella seconda parte di questo articolo verranno approfonditi altri aspetti che devono essere tenuti in considerazione per avere un quadro più esaustivo sulla tematica e cercare di capire se il nucleare sia la risposta.
La centrale nucleare di Krško
A questo punto della trattazione, la storia della centrale nucleare di Krško può venirci incontro per prendere in considerazione una serie di altre criticità fino a qui ignorate: la centrale è tuttora co-posseduta dai due paesi in quanto, a valle di un accordo stipulato tra i due stati nel 1970 che prevedeva la costruzione di due centrali distinte, negli anni successivi ebbero luogo le prime manifestazioni in Slovenia per il cattivo smaltimento dei rifiuti nucleari, depositati nelle vicinanze della centrale. Il piano di costruire due reattori fu definitivamente abbandonato nel 1987, dopo un referendum popolare.
Nel 1997, le due compagnie di bandiera che avevano in carico la gestione della centrale decisero di suddividersi i costi, ma fin da subito iniziarono problematiche di natura economica. Nel 1998 il governo sloveno nazionalizzò la Nuklearna Elektrarna Krško, chiudendo di fatto i rapporti con la compagnia croata, dato che quest’ultima continuava a non pagare. Nel gennaio 2001, i leader dei due paesi si sono riaccordati per una gestione comune della centrale nucleare di Krško: ciò comportò la responsabilità da parte di entrambi gli stati nella gestione delle scorie radioattive ed una compensazione dei debiti ancora esistenti. Questa gestione congiunta iniziò nel 2002, anche se l’effettiva riconnessione alle linee elettriche croate avvenì sono l’anno seguente.
I rifiuti nucleari, per tutti questi 18 anni, hanno continuato ad essere smaltiti in loco, causando svariati danni agli ecosistemi limitrofi. Per questo motivo, molte ONG locali hanno iniziato a protestare chiedendo una transizione verso fonti di energia rinnovabile; vennero proposte svariate alternative, che il governo sloveno non prese però mai davvero in considerazione. Al contrario, nel 2020 viene annunciato che la centrale nucleare di Krško, la quale chiusura era prevista per il 2023, rimarrà attiva fino al 2043.
Questo decisione ha scaturito polemiche tra gli attivisti sloveni, croati e serbi, con questi ultimi che rischiano di ritrovarsi la parte di scorie radioattive a carico dello stato croato smaltite a pochi chilometri dal confine. Infatti, nel 2003 il governo croato indicò come unico luogo possibile per lo smaltimento la zona di Trgovska, distante 850 metri dal fiume Una e facente parte della zona di Bania, tra le più povere in Croazia e praticamente abitata da minoranze etniche di origine serba. Inoltre, a pochi chilometri dal lato serbo del fiume Una, vivono ad oggi oltre 230.000 persone, che risentirebbero degli effetti delle scorie nucleari.
Come già detto, i rifiuti radioattivi della centrale sono attualmente stoccati in loco ed è stimato che entro il 2022 il sito raggiungerà la sua capienza rendendo necessario un altro sito.
Entrano dunque in gioco altri aspetti, ambientali ed antropologici, di fondamentale importanza; le centrali nucleari hanno grandi impatti sull’ecosistema che li circonda e sulla vita delle popolazioni che vivono nelle zone limitrofe (soprattutto per le popolazioni indigene e per i paesi in via di sviluppo):
– i processi per l’estrazione e l’arricchimento dell’uranio crea scorie radioattive di difficile smaltimento, con il rischio di contaminazione di terre, acque ed aria
– i sistemi di raffreddamento delle centrali nucleari ( che possono utilizzare fino ad un miliardo di litri al giorno per il corretto funzionamento) spesso causano criticità nell’approvvigionamento di acqua potabile ed agli ecosistemi che necessitano di quell’acqua
– la produzione di gas di scarico radioattivi, che si propagano nell’ambiente e rimangono nocivi per milioni di anni
– il già citato rischio che accadano altri disastri nucleari della portata di Chernobyl e Fukushima, soprattutto con l’aumento di eventi atmosferici estremi dovuto e l’innalzamento del livello del mare dovuto ai cambiamenti climatici.
Ingiustizia Ambientale
Nel valutare la sostenibilità del nucleare, è importante analizzare l’impatto di questo sistema di produzione energetica sulle popolazioni interessate. Infatti, l’industria del nucleare produce rifiuti tossici che alimentano l’ingiustizia ambientale alla base di gravi violazioni di diritti umani.
Diversi studi dimostrano che le minoranze etniche e le comunità nere siano maggiormente colpite dagli effetti negativi del nucleare. Ad esempio, il professor Dean Kyne dimostra che la percentuale di Afroamericani che vive in aree circostanti gli impianti è più alta rispetto a quella dei cittadini americani bianchi che vivono nello stesso territorio.
Inoltre, le comunità indigene sono largamente impiegate nell’attività di estrazione dell’uranio, in quanto le condizioni economiche avverse spingono queste ad accettare impieghi nel settore, nonostante l’estrazione comporti gravi rischi per la salute. In aggiunta, l’industria estrattiva è responsabile dello stoccaggio di rifiuti tossici in territorio nativo, in violazione del principio di integrità ambientale stabilito dall’accordo di Parigi del 2015.
Infine, è necessario evidenziare come spesso donne e bambine siano le vittime principali di questi processi produttivi. Infatti, le donne sono esposte a livelli di radiazioni da 2 a 10 volte maggiori rispetto agli uomini.
È fondamentale evidenziare che le categorie menzionate siano anche le più vulnerabili in quanto avrebbero maggiori difficoltà nel fronteggiare un’emergenza o nell’accedere ad un’adeguata assistenza sanitaria.
Risorse e conflitti
Gli impianti di produzione di energia nucleare necessitano di grandi quantitativi di acqua per il raffreddamento dei reattori. Spesso le risorse idriche necessarie derivano da fiumi, laghi o altre sorgenti attigue alle centrali. Al termine del processo di raffreddamento, l’acqua, che ha ormai raggiunto temperature maggiori di quelle di partenza, viene reimmessa nel bacino originario. Ciò provoca la riduzione dei livelli di ossigeno e uno shock termico con conseguenti danni per la fauna acquatica.
In aggiunta, il processo di raffreddamento comporta una continua domanda di risorse idriche poiché una grande quantità d’acqua impiegata nel processo viene persa attraverso l’evaporazione. Oltretutto, ad oggi l’insufficienza delle risorse idriche disponibili rende molto difficile soddisfare questa domanda e potrebbe in futuro acuire i già esistenti conflitti sulla distribuzione delle risorse.
Sarebbe quindi auspicabile la promozione di altre fonti di energia, come ad esempio l’energia solare ed eolica, che insieme consumano 200 volte meno acqua di quella richiesta per le energie tradizionali e l’energia nucleare.
Come si evince da quanto scritto, il nucleare sembra essere una valida alternativa per superare le criticità delle energie tradizionali. D’altra parte, si può notare come le centrali nucleari abbiano un impatto negativo sulle comunità più a rischio come indigeni e persone nere. Inoltre, questo tipo di tecnologie comporta gravi pericoli in relazione ad incidenti o conflitti sull’impiego delle risorse.
In conclusione, il nucleare promuove un modello di transizione monco: mirare solo ad una riduzione del livello di emissioni di CO2 non è sufficiente, è necessario che si punti ad una transizione sostenibile anche da un punto di vista ambientale e sociale.
Alex Nicolini
Francesca Mancarella
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