The Climate Route APS cerca un approccio complesso che, anche attraverso una rete di realtà agenti nello stesso ambito, prenda in considerazione le problematiche sotto una pluralità di aspetti, per poi avanzare soluzioni diversificate. Vi proponiamo l’intervista a Edoardo Brodasca, direttore del Posidonia Green Festival che si svolge tra Italia e Spagna da 23 edizioni (22 presenziali, una digitale), e direttore esecutivo dell’associazione Posidonia Green Project. Con base a Barcellona, un ufficio operativo in Italia e una delegazione di ricerca in Grecia, le iniziative hanno dunque il loro cuore pulsante nel Mediterraneo.
Edoardo, qual è il modus operandi dell’associazione?
L’associazione Posidonia Green project lavora su tre assi principali: divulgazione, ricerca e lobbing, strettamente correlati tra loro perchè in realtà quando si parla di ambiente non si possono separare i vari aspetti. Noi siamo partiti dal mare, la posidonia è un simbolo – facciamo sensibilizzazione su questa pianta acquatica mediterranea dal 2008 – in quanto ci concentriamo soprattutto su tematiche marine. Quando parliamo di plastica, sappiamo che l’80% della plastica in mare viene da terra. Chiaramente attività come la pulizia delle spiaggie sono importanti ma se inserite in un contesto un po’ esteso, e supportate da protocolli di ricerca, che a loro volta portino al lobbing per poter cambiare le regole di produzione. Per questo lavoriamo su divulgazione e comunicazione, ricerca, anche attraverso attività ludiche e divertenti ma con solide base scientifiche.
Un esempio?
Per fare un esempio, la quantità di plastica riversata nei mari è pari a un camion di spazzatura ogni minuto. Ottima la legge europea in seno a ‘Breakfree from plastic’ (https://zerowasteeurope.eu/break-free-from-plastic/), che mette al bando oggetti monouso, ma lo stesso giorno dell’emissione della legge, l’industria della platica che si è compromessa a non produrre più una certa tipologia di prodotti, ha stabilito che aumentarà vertiginosamente la produzione di plastica. C’è soluzione? Certo, ma solo coordinando un discorso di lobbing, consumo e sensibilizzazione. Il problema è complesso e va risolto in maniera complessa e integrata.
Qual è l’impatto del Festival sulle persone?
Prima di tutto, richiama un pubblico molto eterogeneo. Dalla mattina alla sera diversifichiamo le attività, all’insegna del divertimento.
In secondo luogo, la partecipazione attiva alle conferenze, ma anche il riscontro delle persone: somministriamo dei questionari che ci danno il polso della percezione. Soprattutto, il vero cambio lo vedo in tutti quei progetti o azioni che nascono dal Festival. Ad esempio, quando dopo 5 anni di Festival, nella piccola comunità di Carloforte, i bambini riprendevano la gente che buttava rifiuti a caso… per noi quello è un risultato.
Il vero traguardo del festival è anche l’estensione della partecipazione e dell’attenzione.
Quale ruolo gioca l’audiovisivo nel Festival?
Proponiamo un film festival all’interno del festival: in collaborazione con altre associazioni o case di produzione, abbiamo proposto una, due proiezioni al giorno invitando registi, attori, case di produzione per dinamica partecipativa. Cerchiamo di comunicare tutto quello che riguarda l’ambiente con particolare attenzione alla tematica marina, declinato in diverse arti, in primis l’audiovisivo. Collaboriamo col FICMA (festival internacional de medio ambiente de Catalunya), Clorofilla, associazioni che hanno fatto documentari importanti.
Nel 2013 abbiamo collaborato con Clipperton project, una delle prima spedizioni per testimoniare come in un’isola a 4 giorni di navigazione dove c’erano solo Albatros, gli uccelli morivano avvelenati dalla plastica. Ci si chiedeva da dove arrivasse la plastica. E ci hanno fatto un documentario.
I rifiuti Covid: la questione delle mascherine.
Di tutti i rifiuti generati dal Covid, le mascherine sono un’emergenza. Quelle che si trovano in mare sono una piccola parte dei residui che produciamo. La Comunidad Valenciana si è posta il problema urgente di come gestire i rifiuti speciali, un’emergenza perché non sanno come gestirli. La Comunidad Valenciana ha un governo che si interroga, ma in urgenza sono tutte le comunità spagnole e mondiali.
Con l’AEBAM (asociación española de basuras marinas) abbiamo fatto la campagna ‘no me abandones’, riferito alle mascherine, rinvenute in quantità allarmanti.
Dovremmo pensare insieme a una soluzione, ad esempio, utilizzando mascherine riutilizzabili.
Che spazio ha il cambiamento climatico nel festival, chiaramente in quanto punta dell’iceberg di una serie di fenomeni?
Il cambiamento climatico non è solo la punta dell’iceberg, ma tutto il pezzo di ghiaccio da cui l’iceberg si è staccato. Noi parliamo da 4-5 anni di cambiamento climatico, in particolare, su come comunicarlo. Abbiamo fatto corsi per giornalisti, creativi, workshop: Rethink, appunto, ripensare a tutto.
Quando si parla di plastica, fondamentalmente, si parla di cambiamento climatico. La plastica è l’industria del petrolio. E quindi tutto quello che genera si innesta nel cambiamento climatico, per questo è un punto nodale del festival.
Temiamo che i tempi di reazione all’emergenza saranno molto lunghi.
Sono d’accordo. Sono un comunicatore da sempre impegnato nelle cause ecologiste (slow future, legata alla sostenibilità). Quando abbiamo iniziato nel 2009, si è iniziato a portare alla ribalta il tema, coinvolgendo artisti, creativi comunicatori per trovare una strategia comunicativa e così va portata avanti la questione del cambiamento climatico, per sollecitare una risposta da parte della politica e dell’economia. Il nostro apporto può essere questo. La morte di un orso polare, per quanto tristissima, può non coinvolgere se un orso polare non l’ho mai visto. Per questo bisogna che il problema risulti percettibile.
Le prossime edizioni del festival?
Stiamo aspettando conferme sull’organizzazione del festival in Italia, mentre sarà presenziale a Barcellona a ottobre 2021, in presenza perché è importante fare comunità.
by Ina Macina